Editoriali

L’Italia e la solidarietà ai tempi del Coronavirus

Scritto da Carlo Simonelli

Sono ormai decine di migliaia i contagiati da Coronavirus e migliaia i morti. Pazienti affollano i reparti di terapia intensiva degli ospedali, mentre medici e infermieri sono chiamati a sostenere turni ancora più massacranti di quelli che svolgevano prima dell’emergenza. Un lavoro ad alto rischio, nel quale è facile passare dall’altra parte, da quella del malato e, infatti molti di loro sono morti e tanti altri ne moriranno. Al personale medico non manca la nostra stima e la nostra gratitudine, tuttavia, oltre a sorrisi e pacche sulle spalle hanno bisogno anche di dispositivi medici per svolgere in una certa sicurezza il proprio lavoro: mascherine, guanti, disinfettante, camici monouso ecc.
In queste drammatiche condizioni di lavoro, nella carenza o totale mancanza del necessario, con le morti e con il numero di contagiati in crescita, il personale sanitario ha raggiunto il limite delle proprie capacità e comincia a scarseggiare.
Per fortuna, l’Italia ha ricevuto soccorso da alcuni Paesi. Tra di essi Cina, Russia e Cuba. Paesi lontani. Molto lontani.
Tra le nazioni che a sorpresa hanno inviato in Italia medici e personale medico spiccano due Stati: l’Albania e la Somalia. Due nazioni, queste, che l’Italia ha sulla coscienza.
L’Albania fu invasa durante la Seconda guerra mondiale. La Somalia fu costretta al protettorato e poi fatta colonia italiana. Due nazioni non ricche, ma dal grande cuore.
L’Albania ha inviato in Italia, in aiuto nei nostri ospedali, 30 tra medici e infermieri. Mentre 14 medici somali, dell’Università nazionale di Mogadiscio, si sono messi a disposizione, offrendo la piena disponibilità a lavorare volontariamente a fianco degli operatori sanitari della penisola. Entrambi gesti che aprono il cuore e che da un lato dovrebbero far riflettere gli italiani, dall’altro vergognare.
Il presidente dell’Albania, Edi Rama, in un toccante discorso fatto in italiano al personale sanitario in partenza da Tirana alla volta dell’Italia ha detto di essere consapevole che 30 medici sono pochi, ma di non poter abbandonare le proprie sorelle e i propri fratelli italiani, che nel momento del bisogno li hanno salvati e ospitati a casa propria. Ha ricordato che le risorse umane e logistiche dell’Albania non sono illimitate, ma che oggi, in un momento d’emergenza non si possono tenere come forze di riserva in attesa di essere chiamate in servizio, quando si sa che l’Italia ha un enorme bisogno d’aiuto.
Facendo intendere che quei medici, anziché tenersi pronti per i casi che colpiranno sicuramente anche l’Albania, attualmente siano più utili altrove che in patria. Un gesto pieno di generosità, di altruismo e di sincera amicizia.
Tutti i Paesi hanno chiuso le frontiere – ha continuato Rama – anche quelli con disponibilità economica e grandi risorse hanno voltato le spalle agli altri. Ma forse proprio perché noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria – ha aggiunto – non ci possiamo permettere di non dimostrare all’Italia che gli Albanesi e l’Albania non abbandonano mai l’amico in difficoltà. Parole che fanno onore all’Albania e al suo popolo. Quello di Rama è uno dei pochi discorsi di un certo spessore sentiti negli ultimi tempi da parte di un leader politico. E da grande leader, in chiusura del suo discorso Edi Rama ha detto ancora: Nessuno può vincere da solo e voi, cari membri coraggiosi di questa missione per la vita, state partendo per una guerra che è anche la nostra. L’Italia vincerà questa guerra anche con noi, per l’Europa e per il mondo intero.
Se queste parole sono state molto apprezzate da tutti gli italiani, l’Italia non ha trovato la stessa solidarietà all’interno dei confini europei e ciò mette in evidenza la natura dell’Europa, in buona sostanza un’unione di matrice economica, che non va incontro ai bisogni primari dei popoli, in cui quello della solidarietà dovrebbe essere uno dei principi cardine che la guida e la sostiene. Se questa chiusura dovesse protrarsi nel tempo ciò potrebbe minare le basi stesse dell’Europa, portando nei tempi a venire forti squilibri all’interno del nostro continente e forse nuove alleanze, anche al di fuori di esso, che potrebbero stravolgere il mondo nel quale abbiamo vissuto negli ultimi decenni.
Edi Rama ha fatto notare che contro il Coronavirus nessuno può vincere da solo. Potrebbe sembrare una cosa banale, ma nella sua semplicità, nel mondo globalizzato nel quale ci siamo a poco a poco accorti di vivere, è una verità inconfutabile, che ancora non è stata recepita dalle nazioni europee.
Molti Stati sembrano non esserne consapevoli o di potersela cavare senza gli altri, che trattano con sufficienza e con una certa aria di superiorità.
Oltre al fatto che nessuno può vincere da solo, l’arrivo dei medici albanesi in Italia deve farci riflettere su un altro punto non meno importante. Oggi riceviamo aiuto per gratitudine. In riconoscenza di quell’8 agosto del 1991, quando la nave Vlora attraccò al porto di Bari col suo carico di oltre 20mila disperati i pugliesi e l’Italia riuscirono ad accogliergli, nel bene e nel male, con grande generosità, con altruismo e umanità. Buona parte di quegli albanesi rimasero in Italia e oggi sono perfettamente integrati nel nostro tessuto sociale, tanto che se non fosse per i loro nomi non ci accorgeremmo nemmeno delle diverse origini. È gente come noi, con i nostri stessi bisogni, con le nostre stesse passioni, con le nostre stesse debolezze. Se allora non li avessimo accolti, oggi probabilmente non avremmo ricevuto l’aiuto di cui abbiamo bisogno. Il bene crea bene.
Storia analoga, ma non uguale, con i medici somali, che hanno deciso di mettersi a disposizione perché formati da medici italiani, che stimavano. Fortunatamente, l’Italia non ha mai respinto barconi, nemmeno ai tempi dei cosiddetti “porti chiusi”. Chiusi più per propaganda che nel concreto. Con la coerenza del fariseo, che rifiuta un atto di carità, ma poi si presenta in televisione per dare sfoggio della propria devozione religiosa, con rosari e preghiere pubbliche. Il carico di disperati è stato più volte trattenuto, i tempi di sbarco allungati, ma alla fine sono sbarcati tutti.
Se da un solo barcone ci è giunto aiuto e una dimostrazione tanto toccante di solidarietà, di amicizia e di fratellanza bisogna immaginare quanto altro bene, in futuro, potrebbe venire da chi oggi è riuscito a sbarcare in Italia. Certo, è difficile da immaginare in questo momento, ma nel 1991 non avremmo mai potuto immaginare la solidarietà che riceviamo oggi. I leader sono grandi se sono in grado di avere grandi visioni, di anticipare i tempi, di capire cosa è meglio per tutti.
Qualcuno obietterà che si tratta solamente di pochi medici.
Certamente, sono pochi. Ma non meno importanti.
Nel Vangelo di Marco (Marco 12, 41-44) viene riportato questo versetto:
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti, infatti, hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
L’Albania ha dato più del suo superfluo, ha dato quello che aveva. La Somalia ha fatto altrettanto. Quale più grande dimostrazione di fratellanza?
Se nel passo del Vangelo i ricchi elargivano alcune monete in elemosina, nell’Europa di oggi i ricchi si voltano dall’altra parte, non gettano nemmeno il superfluo a chi ne ha l’urgenza. Non ci si deve mai dimenticare delle massime elementari, che valgono sempre: nel momento del bisogno si vede l’amico.
Nessuno degli Stati europei ha aiutato l’Italia, chi perché colpito dagli stessi problemi, e in questo non c’è scandalo, e chi perché sordo da quell’orecchio e malfidato, giudicando l’Italia attraverso gli stereotipi che di essa ha, e guardandola attraverso la lente dell’avidità e dell’interesse. A questo punto bisogna chiedersi a chi giovi un’Unione che non si basa sui principi di solidarietà reciproca e di fratellanza, ma semplicemente sul profitto.

Chi è l'autore

Carlo Simonelli

Docente di lingua italiana e discipline umanistiche nelle scuole superiori in Svizzera, atleta e istruttore con esperienze nazionali e internazionali come allenatore, è autore di romanzi pubblicati per la Pellegrini e per la Meligrana editore.

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